Una prima rombante quella del film “La sindorme di Antonio”, tenutasi il 18 ottobre presso il Cinema ADMIRAL.
A bordo di 12 mitiche 500 del coordinamento di Roma i protagonisti del lungo-metraggio sono stati accompagnati al red carpet dopo una sfilata cominciata in Via Tagliamento, davanti al famoso Piper, e proseguita nel quartiere Coppedè. L’arrivo davanti al cinema è stato emozionante per i partecipanti, che hanno scortato gli attori fra giornalisti, Stampa e TV, nonchè Polizia municipale e di Stato.
Le 500 erano a corollario di un evento speciale per la prima di un film che avrà certamente un ottimo riscontro tra il pubblico.
Qui la trama.
“Estate 1970. Dopo la maturità il ventenne Antonio parte per la Grecia per seguire quell’ossessione che tutti i suoi amici definiscono la sua “sindrome”: andare in cerca della caverna delle ombre di Platone. A bordo della 500 blu di sua madre il ragazzo parte per Atene dove lo aspettano il padrone di un alberghetto senza pretese e una ragazza locale, Maria, disposta ad aiutarlo nella sua impresa. Antonio si muove nella Grecia dei colonnelli indossando una maglietta con l’immagine del Che e porta con sé i suoi ideali sessantottini, ma scoprirà che attraversare un Paese dominato da un regime repressivo non è così facile. Meno male che a guidarlo c’è il buon senso di Maria che, pur condividendo i suoi ideali, sa comportarsi con astuzia e cautela. Soprattutto, Maria (interpretata da Queralt Badalamenti, nella foto a fianco, una Jennifer Lopez mediterranea) è di una bellezza esagerata, e Antonio compirà con lei un percorso che non è solo di ricerca ma anche di crescita personale.
A raccontare la storia di Antonio in voce fuori campo è un uomo sulla sessantina (Remo Girone) che vediamo all’inizio e alla fine, e che ha la consapevolezza del senno di poi. E a punteggiare il viaggio del ragazzo ci sono vari incontri misteriosi: un ristoratore greco incline alla filosofia (Moni Ovadia), un pittore vedovo ammutolito dal dolore (Giorgio Albertazzi nella sua ultima interpretazione), il proprietario dell’alberghetto (Antonio Catania).
Claudio Rossi Massimi, autore, conduttore e regista radiotelevisivo, debutta al lungometraggio di finzione con un film da lui ideato, sceneggiato e diretto, e tratto dal suo omonimo romanzo. Questo è il principale problema: la sceneggiatura infatti conserva una forte impronta letteraria evidente soprattutto nei dialoghi, spesso improbabili dissertazioni sulla mitologia greca o spiegazioni da guida turistica comprensibili solo nell’ottica del finanziamento ricevuto dall’Ente del turismo ellenico. Il regista cerca di supplire all’evidente povertà di mezzi con un entusiasmo e una creatività che restituiscono alla storia un po’ di quell’ingenuità idealista che racconta e che ha animato una generazione convinta di poter cambiare il mondo. Anche i costumi (di Mary Gehnyei) e le ricostruzioni di ambiente (di Arianna Braga e Valentina Savino) denotano una cura artigianale che non si arrende al budget risicato e fa onore alla produzione.
Ma la storia di Antonio è debole e sviluppata in modo cinematograficamente poco efficace, penalizzata dalla scrittura e da una messinscena più da piccolo che da grande schermo, nonché da un titolo che fa pensare più ad una malattia del protagonista che a un suo sogno da realizzare. Il diamante grezzo al centro è Queralt Badalamenti, che oltre all’avvenenza fa intuire quella potenziale naturalezza filmica che la sceneggiatura le preclude.”