
di Roberto Chiodi
3 giugno. C’è un giro di rondini curiose davanti al terrazzo della stanza, qui ad Aqtau. L’albergo s’incastra sulla scogliera e dalla hall si scende verso il basso, fronte alla passeggiata sul mare, una delle attrazioni (oltre al monumento dedicato alla navicella Santa Maria di Cristoforo Colombo) di questa città lontana centinaia di chilometri sabbiosi da precedenti destinazioni. Vi abbiamo stabilito il nostro quartier generale per un paio di giorni, evitando così alla Fiat 500 rischi concreti di insabbiamenti durante i 1.500 chilometri di tappe intermedie. Poi sbarcheremo a Baku, la sponda opposta, porta d’ingresso verso strisce di Paesi (Azerbajan, Georgia e Turchia) che saranno il preludio europeo all’arrivo a Parigi: obiettivo primario di questa folle avventura a bordo di una vetturetta “icona del genio italiano” quanto si vuole, ma ai limiti della sopravvivenza in situazioni stradali difficili anche per i cammelli che incontriamo ogni tanto nelle steppe deserte.
La gara? Al vertice c’è lotta sul filo dei secondi tra le Chevrolet (quella dell’equipaggio argentino mantiene il comando) e le Porsche 911. Ma c’è da sottolineare che anche in coda alla classifica sono presenti entrambe le marche: testimonianza del rischio che si prende spingendo al limite questi bolidi da corsa. La nostra 500 è in ordine e siamo sicuri che farà il dovere di portarci al trionfo sotto l’arco di arrivo di Place Vendôme. Sono ammessi gli scongiuri del caso, ovviamente.